La sentenza di illegittimità sul cosi detto lodo Alfano, emessa della Corte Costituzionale è stata definita, a gran voce da Berlusconi e dai suoi sostenitori, “politica” mentre gli avversari affermano che è essa è conforme alla legge che ha semplicemente accertata: indubbiamente nessuno si aspettava reazioni diverse e le polemiche andranno avanti ancor non sappiamo per quanto tempo.
Ma al di là delle opposte passioni politiche, vediamo di chiarire la questione guardando al problema in generale.
Spesso ci si immagina che il compito dei giudici sarebbe quello di applicare semplicemente quello che la legge prescrive: se fosse così semplice, tutti potrebbero fare da giudici perché basterebbe leggere attentamente i codici. In realtà se una contesa va davanti al giudice è quasi sempre perche esse non può essere risolta in modo tanto semplice. Solo teoricamente si potrebbe impiantare una vertenza giudiziaria inequivocabilmente definibile con una norma di legge: nella realtà dei fatti invece vi sarà sempre un aspetto opinabile che il giudice sarà chiamato a risolvere. Pertanto il giudice interpreta sempre la legge nel caso particolare e quindi la sua sentenza non sarà mai una pedissequa applicazione di quanto scritto nella legge ma una sua personale interpretazione nella quale non può non confluire tutta la sua personalità e che può, infatti, essere contraddetta dalla valutazione di altro giudice.
Questo principio è più marcato quanto più si sale di grado: se per una determinata questione si arriva fino alla Cassazione è perché, in genere, i giudici hanno dato interpretazioni discordanti.
Il problema si ritrova anche e soprattutto nelle decisioni della Corte Costituzionale: è prevista infatti che si possa adire ad essa solo se un giudice ritiene il sospetto di illegittimità “non manifestamente infondato”, cioè, in termini concreti, che è questione opinabile. La Corte quindi non può certo trovare la soluzione nella lettera nella Costituzione ma è chiamata a dare un suo parere. Nel caso del lodo Alfano, in realtà, ambedue le tesi erano giustificabili alla luce della Costituzione tanto è vero che nella stessa Corte i pareri erano discordanti e si è deciso a maggioranza Il parere dato dalla maggioranza era condizionato dalle vedute cultuali e quindi anche politiche dei consiglieri? Difficile rispondere negativamente poiché le sole argomentazioni giuridiche non erano sufficienti a dirimere la questione.
Possiamo quindi parlar anche di sentenza “ politica”. Tuttavia lo stesso discorso può essere fatto anche per i consiglieri di minoranza, anche essi influenzati dal proprio orientamento culturale: difficile dubitare che se essi fossero stati in numero maggiore si avrebbe avuto una sentenza opposta e che questa non avrebbe potuto essere allo stesso modo considerata “politica”.
Ogni giudizio, da quelli della Corte Costituzionale a quelli del Giudice di pace, non è mai una semplice applicazione della norma scritta.
Tuttavia nel nostro ordinamento, come in tutti gli ordinamenti democratici, sono previsti organi con una certa composizioni e con determinate funzioni: occorre accettare il loro ruolo cosi come previsto.