Giulio Cavalli è un attore teatrale che ha fatto dell’impegno il suo marchio di fabbrica. Lo scorso anno ha scritto e portato in giro per l’Italia lo spettacolo Do ut Des, spettacolo teatrale su riti e conviti mafiosi, coprodotto dal comune di Lodi e dal comune di Gela, con collaborazioni importanti come quella della casa memoria “Felicia e Peppino Impastato” ed il Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato”.
Per questo è stato minacciato dalla criminalità organizzata e da qualche tempo gli è stata assegnata una scorta. Italianotizie lo ha raggiunto telefonicamente.
Giulio, tu inizi come drammaturgo e regista di teatro, solo in seguito decidi di salire sul palco. Cosa ti ha spinto a fare questo passo?
Credo che spesso i percorsi professionali, anche in teatro, siano dettati dalle urgenze. La mia urgenza era dettata dal raccontare delle storie dedicandomi a un teatro, non nella forma più banale prevedibile, che riuscisse a portare sul palco la notizia presa dagli atti della magistratura, dai giornali, trasformandola in parola scenica. Ho scelto di utilizzare il monologo perché è la forma dove la parola e l’informazione hanno un aspetto preponderante.
Il tuo si può definire “teatro civile”?
Sì, anche se io, ti dico la verità, odio questa definizione. Mi sembra una delle grandi banalità di questa nazione dove, per cercare di arrivare a un pubblico più vasto possibile, si tende a semplificare e a banalizzare. Il teatro civile in realtà non esiste perché non esiste un teatro incivile. In una nazione normale, chiunque, nel suo lavoro, dalla casalinga al salumiere, al vigile urbano, al teatrante cerca di esprimere dei valori di cui si fa portatore. Se per fare questo serve un “teatro civile”, vuol dire che ci sono delle sacche di inciviltà da coprire.
Beh, è la tua storia a dimostrare che in Italia è così!
Io sono un ottimista e per questo penso semplicemente di essere caduto in un angolo di brutture! Non giustifico il pessimismo e la desolazione nemmeno nella mia situazione.
Io vivo tutto con il sorriso sulle labbra. Ho la fortuna e l’onore di essere un teatrate che lavora con gente che ha qualcosa da dire. Io scrivo i miei spettacoli con magistrati come Giancarlo Caselli o Antonino Ingroia e mi interessano ben poco gli esempi di drammaturgia di terza generazione di cui capisco ben poco e che mi sembrano di più una grande masturbazione.
Che genere di minacce hai ricevuto?
Non mi piace parlare delle minacce perché sono solo un effetto. Un attore che cerca di spingere tutti a prendere conoscenza diventa pericoloso e la minaccia è soltanto la reazione di persone che hanno un’inciviltà conclamata e che davanti alla forza della parola e della bellezza e della cultura risponde con i mezzi che gli sono propri, che poi sono i soliti mezzi dell’intimidazione.
Io comunque ho molta più paura di un mondo dell’informazione che dà spessore alle parole dette in base alla presenza o meno di una scorta scorta. Anche la scorta è un effetto.
È paradossale come sui giornali, per esempio, non si parli della vita blindata di Giancarlo Caselli all’indomani delle stragi di mafia, mentre improvvisamente si apre un voyeurismo da Grande Fratello quando a soggetti infinitivamente più piccoli come me arrivano minacce e ritrovandosi a vivere con la scorta.
Come si vive con la scorta?
La scorta sono due persone, a cui sarò sempre grato, che ti seguono ovunque e che tutelano una persona che vive di ciò che dice. Invece di spostarci in quattro, ci spostiamo in sei. Diciamo che siamo una compagnia con una forte componente d’istituzione. Penso che i giullari del Cinquecento non avrebbero mai creduto che quello Stato che a loro faceva tagliare la testa adesso si ritrova ad accompagnarne uno un tournée.
Parliamo di futuro. A cosa stai lavorando?
Sto scrivendo un libro, dovrebbe uscire in febbraio, in cui racconterò un po’ di storie che ho incontrato in quest’ultimo anno. Noi teatranti e narratori abbiamo l’obbligo di andare a scovare le storie che magari sono state dimenticate e che invece hanno gli spigoli giusti per poter essere l’esempio del bene e del male della storia di questa nazione.
Sto anche scrivendo, insieme a Carlo Lucarelli e a Giancarlo Caselli, uno spettacolo sul processo a un senatore a vita, prescritto ma che “incredibilmente” risulta innocente. Insomma, è il giornalismo, l’intellettualismo e le toghe rosse che si uniscono in una forma di terrorismo teatrale.
Il peggio del peggio, insomma…
Sì, la feccia di questa nazione (ride).
Giulio, dove sarai nei prossimi giorni?
Domani sarò a Bolzano, che si distoglie per un attimo dai canederli per interrogarsi sui problemi di mafia. La prossima settimana, poi, partiremo con la carovana antimafia, e andremo a raccontare nei le storie di mafia nei territori a più alta densità di ‘ndrangheta e mafia del nostro territorio: saremo così a Lecco e a Varese.
Hai in previsione di fare tappe in Sicilia?
Penso che sarò a Palermo abbastanza presto anche per dare una risposta alle intimidazioni che sono arrivate a Peppe Lumia. A gennaio invece sarò a Catania per ritirare il premio Fava. Io in realtà in Sicilia ci vengo spesso, ma non ci vengo per fare il testimonial triste dell’antimafia quanto per mangiare gli arancini e per parlare con giovani che l’antimafia la fanno senza avere bisogno di essere alfabetizzati.
Vuoi rileggere l’intervista prima che la metta on-line?
No, non occorre… non sono come Silvio. La leggerò quando sarà pubblicata. Al massimo ti querelo, visto che adesso va di la moda…(ride).
Siete riusciti a intervistare Giulio Cavalli per telefono? Siete mitici!Complimenti! Mi spiegate come avete fatto visto che vive sotto scorta? Così magari riesco a intervistare Roberto Saviano. Grazie. Anastasia