Viene rappresentato in questi giorni al teatro Piccinni di Bari, Passaggio in India, l’adattamento teatrale di Santha Rama Rau degli anni ‘50 dell’omonimo romanzo di Edward Morgan Forster, pubblicato per la prima volta in Gran Bretagna nel 1924.
La rappresentazione è stata prodotta dal Teatro Metastasio Stabile della Toscana / Compagnia Sandro Lombardi, per la regia di Federico Tiezzi, con la partecipazione di Sandro Lombardi, Graziano Piazza, Giulia Lazzarini, Debora Zuin, Massimo Verdastro, Giovanni Franzoni, Sandro Mabellini, Silvio Castiglioni, Daniele Bonaiuti, Ciro Masella, Fabricio Christian Amansi, Andrea Carabelli, Aleksandar Karlic.
Varcando la soglia del teatro ci si trova di fronte al sipario già aperto, sullo sfondo una cartina geografica dell’India, la proiezione di un filmato con scene di vita indù, alcuni attori già seduti per terra, turbanti e colori sgargianti. Siamo in India, non ci sono dubbi.
La narrazione si svolge su due scene parallele, in primo piano i dialoghi e la storia, in secondo piano la servitù e i musicanti indiani. Sono due immagini che scorrono in parallelo e si incontrano solo in alcuni punti, quando c’è da servire un tè o da intrattenere con della musica. Sono la realtà inglese e quella indù, l’una ciarliera e spocchiosa e l’altra silenziosa e discreta. Due mondi diversi vengono messi in scena, due mondi che tenteranno di incontrarsi, di fondersi, di comprendersi, operazione che si rivelerà però fallimentare.
Il romanzo di Forster narra le vicende di due donne inglesi, negli anni ‘20, in visita in India a Chandrapore, desiderose di conoscere e imparare tutto su questo paese meraviglioso e ricco di contrasti. Un professore inglese Mr. Fielding permetterà alle due donne di stringere amicizia con un medico musulmano, Aziz, entusiasta dell’amicizia con il professore e con le due inglesi. L’interpretazione di Aziz non può non coinvolgere, la sua gioia è palpabile.
Adela, giovane donna inglese promessa sposa di un magistrato inglese trapiantato in India, sarà l’emblema assieme al medico musulmano dell’incontro tra questi due mondi.
La loro amicizia è il fulcro della storia, ma i pregiudizi di cui la giovane è vittima, distruggeranno ogni tentativo di incontro tra le due culture. Il dramma dell’opera si svolge in una gita alle grotte Marabar: al buio, in un calore soffocante, stordita dall’eco che la grotta sprigiona, sola con Aziz, Adela si convince di aver subìto un’aggressione sessuale. Aziz viene accusato, imprigionato e processato. Durante il processo, Adela si accorge che è stato tutto frutto di un’allucinazione, e ritira l’accusa nella disapprovazione generale degli inglesi. Nonostante le buone intenzioni del professore che vuole mettere pace tra Aziz e Adela, la loro amicizia è compromessa per sempre, così come la sua con il medico musulmano che alla fine della storia non vuole nemmeno più sentire nominare gli inglesi.
Un finale amaro, la scena si è svuotata, niente più immagini di vita indiana, niente più turbanti colorati, niente più musica.
Ci si accorge che in scena non c’è solo la contrapposizione tra due mondi ma viene rappresentata una lotta tra strati d’animo. L’eco che stordisce le due donne nelle grotte è in realtà interiore. Si realizza concretamente ciò che l’assistente del professore, uomo tipicamente indiano nelle fattezze e negli atteggiamenti, dice all’inizio della storia e cioè che, nella grotta, non c’è nulla da vedere con gli occhi. Le paure che i personaggi vivono nella grotta sono in realtà racchiuse dentro di loro. Così Adela confusa crede di aver vissuto ciò che non è mai successo e Mrs. Moore, suocera di Adela, magistralmente interpretata, scopre che è il momento di tornare alla sua Inghilterra, ma morirà durante il viaggio di ritorno a casa.
E’ una rappresentazione che colpisce al cuore, ben fatta e ben interpretata. Prima di offrirsi agli applausi del pubblico gli attori si lanciano, molto divertiti, in una danza indiana, che ci ricorda il cinema bollywodiano, un commiato quasi inevitabile.