Egregia dott.ssa Antonia Ida Fontana,
leggere che si ripromette di dedicare il suo impegno per dare un seguito al mio suggerimento mi ha fatto sentire vivo e metto nel termine “vivo” tutto.
La realtà, qualsiasi realtà, è una costruzione e si realizza anche con un’idea, anche la comunità si costruisce con le idee, quelle che oggi mancano per costruire una comunità che possa considerarsi veramente tale, idee che mancano perché manca il sapere di ciò di cui si ha bisogno sia che si tatti di carceri, sia che si tratti dei luoghi della cultura sui quali, in questo momento pauroso del nostro paese, viene fatto insinuare un diffuso, quanto deleterio, sospetto d’inutilità quando non di nocività.
La cultura chiede sempre di più, stimola a non accontentarsi di ciò che si sa già e di ciò che siamo e questo è un rischio da non correre per un potere che non vuole, ad esempio, che sul carcere la gente abbia un’autonomia di giudizio in quanto considera il carcere solo un enorme affare economico e simbolico e non ha interesse di riflettere su nuove prospettive di collaborazione tra ch ha sbagliato e la società.
Sono ingenuo, lo so, nel pensare a nuove prospettive di collaborazione tra chi ha sbagliato e la società ma non sono astratto, né tantomeno folle quando penso a come un detenuto, se veramente voglia, possa diventare protagonista della vita civile.
Folli sono quelle norme che portano all’ergastolo ostativo, una pena che, in base al tipo di reato, non consente un riscatto dal proprio passato indipendentemente da ciò che il condannato è o e diventato dopo decenni di espiazione.
Folli sono coloro che non ascoltano la voce dei figli degli ergastolani che, con l’aiuto dei padri resi innocenti dal tempoe dal rimpianto di tutto ciò che hanno perduto, potrebbero ritornare anche loro a vivere la vita che non hanno mai vissuto.
Folli sono le norme che non prevedono di far diventare chi ha sbagliato amico della comunità cui appartiene e non più nemico, collaboratore sociale e non continuare ad essere un peso per la stessa.
Folli sono coloro che non prendono in considerazione gli ergastolani che stanno adoperandosi per poter diventare una risorsa sociale e non si curano di apprendere dagli stessi di come pensano di poter diventare una risorsa sociale.
Folli sono quegli amministratori della giustizia che, nel caso dell’ergastolo ostativo, pensano alla collaborazione intesa come delazione, come unico criterio di ravvedimento, come unica condizione che permette all’ergastolano di aver donata ancora un po’ di vita.
Folle è pensare al condannato come al nemico da annientare in modo o in un altro e non a pensare di progettare una collaborazione che non sia delazione, ma d’educazione alla vita sociale, un’educazione che avrebbe bisogno, come premessa, di offrire una prospettiva della pena che non sia solo un castigo ma un diritto, quello di poter apprendere ciò che che si è come creature umane.
Folle è diffondere l’idea della pena come vendetta che è la ripetizione della colpa. È essa stessa una colpa.
Purtroppo oggi è così, questi sono stati i motivi che mi avevano spinto a scrivere in merito all’articolo sulla Biblioteca Nazionale unito al fatto che in carcere non si parla e non si scrive e non ci si rivolge a persone perché non siamo considerate persone, questa è la vera pena del carcere.
Lei, con la sua lettera, mi ha fatto sentire una persona e di questo sento di doverla ringraziare.
Sebastiano Milazzo, Spoleto, 3 ottobre 2010