“Egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso e selvatico. Al mezzogiorno, mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio la loro minestra, e facevano un po’ di ricreazione, egli andava a rincattucciarsi col suo corbello fra le gambe, per rosicchiarsi quel pane di otto giorni, come facevano le bestie sue pari; e ciascuno gli diceva la sua motteggiandolo, e gli tirava dei sassi, finché il soprastante lo rimandava a lavorare con una pedata”.
Inizia così “Rosso Malpelo” di Giovanni Verga, la storia di un ragazzo tormentato dall’emarginazione, dall’ignoranza senza scrupoli dell’essere chiamato uomo.
Il tormento della sua anima dà spunto al regista della “Compagnia dei giovani”, Salvo Valentino di scindere quest’anima in quattro pezzi: quattro diversi comportamenti, quattro spiriti solitari e animaleschi che si muovono rapidamente tra le liane della giungla chiamata “vita”.
Venerdì sera assistiamo dunque, al teatro “Piscator” di Catania, a questo originalissimo, talentuoso adattamento di “Rosso Malpelo” dove, a partire dai costumi e dal trucco, viene curato ogni singolo particolare con meticolosità, con dovizia di attenzione, con adeguata astuzia registica.
Come scriverà lo stesso Salvo Valentino, è una messa in scena iperrealista, a contrasto voluto. Rosso si fa “in quattro” e permetterà ai quattro attori:
Giuseppe Billa,
Pietro Cocuzza,
Francesco Granata
e lo stesso Salvo Valentino,
di dare voce a quell’anima inquieta, movimentata e tormentata di un ragazzo che vive e lavora in una cava, che vede morire il padre sotto quella terra, che vedrà morire più in là Ranocchio, l’unico amico che era riuscito a dominare quasi a rivalsa della sua voluta sottomissione al mondo. Il suo gusto dell’orrido come sostanziale ribellione alla sua natura felina, manifesta e non, nell’unico sfogo di andare a vedere, con un godimento accanito, la “crozza” di un cavallo simbolo della caducità corporale dell’essere umano.
Una nota particolare vorremmo, inoltre, dedicare al trucco di scena: degli abiti schizzati di rosso istrionicamente adattabili ad una natura selvatica supportati e delineati da movimenti veloci, coordinati.
E poi una sorta di eco vocale che sottolinea i vari momenti del vissuto del Malpelo, crea inquietudine nello spettatore, suspance, senso dell’inadeguatezza al mistero al mondo.
In scena quattro teli all’interno di quattro mezze lune sospesi nel cielo ed unico contatto con la terra. La luna che tanto amava Malpelo, simbolo della madre, simbolo del femminile.
Ed il bianco dei teli, un insieme di colori con la freddezza della sua simbologia, un colore non colore a rappresentazione dell’essere o non essere amletico.
Come può considerarsi dura la vita per un ragazzo! Come può essere spietata l’emarginazione ingiusta e crudele dell’uomo!
Malpelo infine sceglierà di sparire, di farsi “vincere” dalle ingiustizie del mondo preferendo l’oblio alla diffamazione, il ricordo alla crudeltà.
Nessuno potrà mai vedere la sua “carcassa” usurarsi con il tempo, nessuno potrà mai ridere all’inettitudine della sua debolezza d’anima alla reazione.
Grandiosi gli attori che hanno permesso la comprensione di un testo verista molto intenso, a tratti dalle sfumature letterarie romantiche. La grandiosità del Verga consiste proprio in questo: fotografare la realtà della vita attraverso l’obiettivo fotografico dell’anima.
Un applauso davvero grande ai quattro ragazzi della “Compagnia dei giovani”: attori adeguati la cui volontà e bravura trasuda da ogni singolo movimento, da ogni singola parola proferita.
Encomiabile, inoltre, lo scopo per il quale la rappresentazione di “Rossa Malpelo” acquista una valenza ancora più preziosa: la lotta per la salvaguardia dei diritti umani, ed in particolare, la lotta contro la discriminazione da parte dei cechi dei bambini rom nelle scuole pubbliche e private di “Amnesty International” e del “Gruppo Italia 72” di Catania.
Il teatro è vita, cultura e lotta alle ingiustizie sociali.
La “Compagnia dei giovani” lo ha ampiamente e magistralmente dimostrato.