Opinabile o non opinabile la rilettura del giovane, talentuoso e coraggioso, artisticamente parlando,regista Gianpiero Borgia di Cavalleria Rusticana del Verga, resa molto particolare, un innovativo reality teatrale. Se dobbiamo dirla tutta, molto onestamente, il pubblico non è pronto, né culturalmente né intellettualmente, ad accettare personali chiavi di lettura da parte di testi che osiamo definire “sacri”, “intoccabili”.
Esiste un numero molto consistente di tradizionalisti che mira a puntare il dito ad ogni benché minima forma di personale lettura dei testi in questione da parte di artisti che tendono ad eliminarne la retorica folkloristica.
Quella di ieri, dunque, al teatro Verga di Catania è stata una “Cavalleria Rusticana” in un’ambientazione cittadina, zona di Librino, come dire “scampia” di Napoli: violenza, prevaricazione ed abuso permettono di vivere in un limbo di anime inquiete, emarginate ingiustamente.
Il rosso degli abiti degli interpreti in scena simboleggia la rabbia, la gelosia accecante della vicenda, il sangue innocente sparso nella completa indifferenza omertosa dei cittadini.
E’ un ballo la vita, il linguaggio di corpi che vibrano ai presentimenti, ai tradimenti come forma di sfogo, come un musical non fatto di bel canto ma di musiche e ballo.
Apre la performance il sottofondo di una canzone celeberrima “Losing my religion” dei REM; essa dà corpo, nel senso stretto del termine, alla modernità della scelta registica che, attraverso le note e i movimenti corporei, permette ai sentimenti di affiorare e riaffiorare da un vortice di repressione, di regressione umana.
I costumi sono di Giuseppe Andolfo, le musiche di Papaceccio MMC & Cespo Santalucia, i movimenti di Donatella Capraro, le luci e gli allestimenti di Franco Buzzanca, il capo tecnico del suono è Giuseppe Alì e l’attento direttore di scena Enzo Di Stefano.
Gianpiero Borgia si pone come obiettivo quello di decriptare la finzione attraverso la rappresentazione della banalità quotidiana del delitto, oggi mitizzato come evento mediatico capace di catturare ed alzare a dismisura l’audience televisivo. La trama della cavalleria, dunque, non è minimamente manomessa ma solo attualizzata.
Turiddu Macca interpretato dal bravo e naturale attore David Coco vive la doppia storia tra la neo sposata a compare Alfio, la gnà Lola, Claudia Potenza, e la fidanzata Santuzza, interpretata dalla giovane e adeguata attrice Caterina Misasi in una continua passeggiata frenetica intorno ai palazzi e case montati sul palcoscenico. Santuzza è un’anima che non sa darsi e non trova pace, una vittima-carnefice degli eventi, della gelosia che acceca e fa perdere il lume della ragione.
Compare Alfio è l’attore Giovanni Guardiano che lava l’offesa del tradimento della moglie con il sangue di Turiddu. Comare Camilla, moglie dello zio Brasi è interpretato dalla spumeggiante Barbara Gallo mentre suo marito Brasi è l’attore poliedrico, sempre all’altezza dei ruoli affrontati Leonardo Marino. La gnà Nunzia, madre di Turiddu Macca è interpretata dalla profonda intensità artistica di Nellina Laganà. Il suo è un ruolo di donna, di madre quasi incosciente di ciò che le accade intorno, quasi unicamente appagata, rifugiata nel vizio del fumo. La tragicità della perdita del figlio esplode nella consapevolezza dell’annuncio finale, a voce sommessa della morte del figlio attraverso Pippuzzo, un ragazzo sempliciotto, balbuziente il cui diletto è girare in piazza con un carrello della spesa ascoltando musica in cuffia.
L’attore che affronta la piccola parte, ma con intensità d’espressione e di movenze, è il bravo Fabio Costanzo. Egli non grida ma sottovoce balbettando annuncia la morte di Turiddu tra il clima festaiolo della Pasqua: paradossalmente si ricorda la risurrezione in una città morta, annegata nel fango del pregiudizio, della gelosia, della disperazione.
Una luce fa risaltare Santuzza sullo sfondo disperata come una madonna vestita di scarlatto che perde inesorabilmente l’amore.
L’immagine è tratta dal sito: lapisnet.it