“Pupi noi siamo”, pupi mossi dalla calcolata parvenza della società, fantocci senza sostanza manipolati dalle corde civili; la gente vede in noi quello che vuole vedere, giudica e “misura” secondo il proprio metro, il proprio parametro.
Tratta dalla novella di Luigi Pirandello “Il Gancio”, domenica 17 febbraio abbiamo assistito ad una vera “prova di grande teatro”, quello fatto con il cuore, con la passione, quello “sudato” e che “trasuda” rispetto per l’anima del palcoscenico, quello che fa venire i brividi dall’emozione.
Nella splendida e caratteristica cornice del teatro “l’Istrione” di Catania, abbiamo applaudito la “mise en scène” dell’atto unico “Il dovere del medico”, regia e musiche di Valerio Santi, coreografie di Amalia Borsellino, scenografia di Valerio Santi e Gianni Rossi.
Fonica di Aldo Ciulia, luci Ségolène Le Contellec, costumi a cura della Costumeria L’Istrione, make up artist Melania Botano ed Angela Amarindo, “Cinecittà make up” by Df – Daniela Foti – hair and beauty Catania.
Tutto curato nei minimi particolari quasi in modo “maniacale”, termine che in questo caso è sinonimo di grande professionalità, competenza, dimostrazione tangibile dell’elevato talento del regista Valerio Santi, impeccabile anche nella sua personale interpretazione del personaggio Tommaso Corsi.
Leggere ed interpretare i testi di Pirandello, tra gli altri di un’attualità disarmante, è impresa tutt’altro che facile e soltanto a pochi élite è concesso il grande privilegio di trarne i significati più arcani, le sfumature più nascoste e tortuose tipiche del decadentismo storico e letterario.
Merito grande, dunque, ad una “squadra” di attori di alti ed altri livelli interpretativi, squadra avvincente e vincente.
Qual è veramente il “dovere del medico”? La risposta parrebbe scontata ed implicita: salvare la vita al paziente utilizzando ogni mezzo umanamente a disposizione.
E se il paziente volesse invece morire per viltà, per seppellire una colpa assieme al proprio corpo mettendo a tacere una società che, sopravvivendo, lo condannerebbe inesorabilmente all’onta della vigliaccheria e all’infamia di traditore?
Con la morte ogni affanno cessa di essere, ogni sofferenza viene messa a tacere.
Il diritto di un uomo di morire si scontra dunque con il dovere del medico che ha di guarirlo: è uno scontro tra titani dove il vincitore non esiste e ne mai esisterà. Ogni essere umano è costretto, suo malgrado, a vivere il ruolo e le regole che la società gli impone esattamente come un “pupo” mosso dal proprio puparo sociale.
In una messinscena volutamente cupa ma incisiva, ricca di metafore e simbolismi visivi in un gioco di luci e musiche, i personaggi si muovono attraversati dall’occhio vigile e critico della “civiltà” spesso ingiusta nelle valutazioni.
Anna, la moglie tradita ha il volto pulito ed espressivo dell’attrice Clio Scira Saccà. La sua mimica, la gestualità convince, emoziona, tocca l’anima fino alla fine quando, ancora oppressa dal tarlo della gelosia per il tradimento del marito pentito, scopre che il suo perdono non era del tutto profondo e sincero.
Il bravissimo attore Francesco Russo è il dottor Tito Lecci orgoglioso d’aver saputo ben curare il suo paziente salvandogli la vita.
L’interpretazione di Francesco Russo è incisiva e ricca di personalità scenica. Caratteristica del suo personaggio è la “parlata” lenta, piena di pause, molto chiara e quasi “robotica” come a sottolineare scandendo a ritmo cadenzato di parole il proprio importante ruolo nella società.
L’avvocato Franco Cimetta ha il volto del garbato, adeguato attore Gianni Rossi. Grande padronanza, imperioso negli atteggiamenti come il ruolo di un preparato avvocato richiede.
L’attrice Maria Grazia Galvagno è la signora Reis, madre di Anna. Anche in questo caso l’attrice è convincente; scuote la figlia riportandola ad una realtà di donna tradita (meglio fosse morto il marito fetigrafo!). La signora Reis rappresenta la società di oggi, attenta e condizionata da quel che pensano gli altri di sé.
L’attrice Maria Carla Aldisio interpreta l’ubbidiente cameriera, l’attore Salvo Scuto è l’infermiere e l’attore Aurelio Rapisarda è Questurino, l’ufficiale che attente, discreto ed empatico, la ripresa fisica di Tommaso Corsi per poterlo arrestare accusandolo dell’omicidio del marito della sua amante.
I “PUPI” sono ben animati dagli impeccabili attori Amalia Borsellino, Yvonne Guglielmino, Caterina Calaciura, Edoardo Coniglio.
Un bravissimo, coraggioso e tragicamente intenso è l’attore Valerio Santi nel ruolo di Tommaso Corsi, l’assassino suicida mancato e marito di Anna.
Suo è il merito grandissimo d’aver regalato pathos, emozioni, compenetrazione, trasporto ad una platea attentissima, coinvolta, estasiata da una capacità interpretativa come in pochissimi abbiamo riscontrato.
Gli applausi sinceri finali sentiti hanno suggellato un successo meritatissimo.
“Pupi siamo, caro signor Fifì! Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti”. (Il Berretto a Sonagli – L. Pirandello)
Noi siamo pupi e questo di cui vi abbiamo parlato è il VERO Teatro.
Una recensione che rende merito ad un giovane coraggisoe bravo attore che si è cimentato in un lavoro difficile e poco conosciuto testo di Pirandello. Bravo Valerio e tutta la compagnia per questa scelta che ti fa onore. continua su questa strada e mantieni la tua umiltà che ti fa ancora più grande. ad maiora