Non potevo mancare ieri sera alla prima de “La governante” di Vitaliano Brancati con la regia di Maurizio Scaparro al teatro della Pergola: era di scena il Teatro Stabile di Catania, il mio primo banco di prova come critico teatrale nei miei “anni siciliani”, e averne qui a Firenze una delle sue produzioni era, per me, un evento da non perdere.
Tra l’altro il protagonista principale, nei panni di don Leopoldo Platania, è Pippo Pattavina, un attore che ho applaudito e recensito più volte all’epoca: volevo vederlo alla prova anche in questo che è uno dei testi più celebri di Brancati, scritto per la moglie Anna Proclemer, e che lui ha già interpretato in altre due edizioni.
E nonostante la lunghezza dello spettacolo, due ore e quaranta con un solo intervallo, è stata pura magia, Pattavina si è superato, ha dato una prova d’attore con la A maiuscola, praticamente sempre in scena ha “regalato” a Leopoldo una vitalità, una verve straripante che si trasforma lentamente e crolla negli ultimi minuti quando, purtroppo, una serie di epifanie, di disvelamenti, lo portano a ripiegarsi su se stesso e Pattavina è stato straordinario anche nell’evidenziare con la gestualità questo decadimento.
Con lui nella parte della governante Caterina Leher la bravissima Giovanna Di Rauso che ha delineato una donna calcolatrice, all’apparenza perfetta e integerrima, visualizzata anche nell’abbigliamento e nei movimenti, e che si rivela poi un’altra persona ma non dico altro per non togliere la suspense a coloro che non conoscono la trama del libro e che applaudiranno questo spettacolo da stasera fino a domenica.
E un “bravo” a Max Malatesta nel ruolo dello scrittore Alessandro Bonivaglia che è spesso ospite a casa Platania, a Veronica Gentili nel ruolo della nuora Elena e a Giovanni Guardiano in quello del figlio; bravissima Chiara Seminara nel ruolo, breve ma denso e importante, di Jana. Completano il cast Marcello Perracchio e Ramona Polizzi.
Concludo con le parole del regista Scaparro dal foglio di sala: “…riproporre al pubblico questa Governante è un segno, forse, che i fatti privati, i sentimenti personali, contano alla fin fine più di ogni altra cosa. E che finché continueremo a fare con il teatro delle esercitazioni di stile, sia pure ad alto livello, saremo condannati all’insoddisfazione e alla crisi. O il teatro diventa specchio della nostra vita personale e segreta, ci rappresenta cioè a tutti i livelli, non soltanto a quelli intellettuali e ideologici, o saremo ridotti all’alienazione e alla nevrosi”: grazie per averlo riproposto.