L’arrivo di folle di profughi in Occidente dalla Siria ha riportato in primo piano all’attenzione internazionale la guerra civile che vi si combatte da ben quattro anni. In realtà di essa poi non sappiamo molto, un po’ per la grande difficoltà di avere notizie di prima mano data la grande pericolosità per i giornalisti di andarvi e soprattutto perché la complessità di quelle vicende è tale da rendere difficile comprenderne le vicende e quindi farsene un’idea organica. Di tanto in tanto la Siria torna nelle prime pagini della stampa internazionale per qualche strage di particolare ferocia che poi non si capisce bene da chi è stata provocata e perché. In particolare si è ampiamente riferito di Kobane, questa città prima del tutto sconosciuta: l’assalto dell’IS, la resistenza strenua dei Curdi, la riconquista con l’intervento aereo della coalizione hanno tenuto il primo posto nei notiziari ma poi in effetti non si capisce bene questo scontro sanguinoso quale posto abbia nella vicenda generale siriana. Forse per comprendere la realtà siriana non si deve pensare a una guerra civile, come generalmente si fa, quanto a uno stato fallito. L’idea della guerra civile ci rimanda a qualcosa come la guerra civile spagnola del 36-39: vi sono due schieramenti contrapposti all’interno dei quali ci possono essere forze molto diverse magari anche in lotta fra di loro (all’interno dello schieramento repubblicano spagnolo non mancarono anche scontri sanguinosi). Tuttavia i due schieramenti si combattono fra di loro ed è agevole capire chi combatte contro chi. Alla fine una delle due parti vince e l’altra perde e la guerra finisce. Nei fallimenti dello stato invece le strutture portanti collassano e forze centrifughe prendono il sopravvento divindendosi in prataica il potere, scontrandosi non in modo continuo e organico ma in modo intermittente a secondo circostanze e caso. È il caso del vicino Libano ma anche della Somalia, della Libia.
In Siria c’è stata prima una rivoluzione araba (primavera araba) che mirava sull’esempio di quanto avveniva in Tunisia e Egitto all’abbattimento del potere di Assad per instaurare una democrazia sul modello occidentale. Essa fallì per la reazione forte del governo e man mano si scivolò nella guerra civile. Il problema è che, a differenza di Egitto eTunisia, la Siria è un insieme di gruppi etnico religiosi. Dalla parte di Assad quindi ci furono soprattutto gli alawiti che detenevano in buona parte parte il potere, in generale le altre minoranze religiose che vedevano nel suo laicismo una protezione efficace, e una parte dei sunniti che sono la maggioranza nel paese che temevano le conseguenze di una caduta di Assad. La maggior parte però dei militari di fede sunnita disertarono e costituirono l’Esercito Libero di Siria che tuttora viene considerato dagli Occidentali il legittimo governo democratico di Siria. In seguito in Siria arrivarono fanatici da ogni dove vicini alle posizione di Al Qaeda, che formarono una galassia di movimenti. Nell’ ultimo anno ad essi si è sovrapposto l’IS che vuole fondare un califfato universale nel mondo islamico ed ha allargato il suo governo anche in parte del vicino Iraq sunnita. Gli estremisti islamici hanno sopraffatto non le forze governative quanto quelle dei loro avversari sunniti e l’Esercito Libero, cioe i democratici, si è ormai ridotto all’estremo.
Lo scontro di Kobane è ai margini del conflitto: benché i Curdi siano tutti sunniti gia in Iraq hanno costituito uno sbarramento per l’IS e sono stati considerati da questi come dei rinnegati. A Kobane quindi si sono difesi dall’assalto del’IS da cui la famosa battaglia di scarso rilievo però nel complesso delle vicende siriane.
Ogni gruppo poi gode di appoggi internazionali più o meno forti.
Al fianco del regime di Asad che rappresante gli alawuiti si sono schierati decisamnte, per solidariteà religiosa , l’Iran sciita e gli hazbollah, milizie scite del Libano che hanno partecipato direttamente ai combattimenti. Inoltre continuano ad essere riforniti dai Russi tradizionali alleati degli Asad anche in rivalità con gli occidentali
Gli occidentali invece appoggiarono decisamente la prima rivoluzione siriana, sono rimasti avversari di Assad e poi sono preoccupati dell’ascesa dell’IS che una coalizione a guida americana ha cominciato a bombardare. Ma restano ai margini perché non riescono a trovare una linea di azione e sono in contrasto fra di loro.
La Turchia è guidata da un governo islamico anche se moderato: è contrario agli Assad (alawiti ) per solidarietà religiosa con i sunniiti siriani, sono soprattutto preoccupati del movimento curdo con i quali sono in lotta da 40 anni per le loro aspirazioni autonomistiche. Condannano ufficialmente l’estremismo dell’IS tuttavia hanno mantenuto un atteggiamento ambiguo permettendo in pratica il passaggio dei volontari per l’IS e bloccando quello dei curdi. Dopo un sanguinoso attentato in territorio turco dell’IS ha annunciato bombardamenti contro l’IS ma poi si sono rivolti soprattutto contro i Curdi.
Gli arabi del golfo sono contro Assad per motivi religiosi, vorrebbero appoggiare la maggioranza sunnita ma considerano l’IS troppo nemica degli occidentali di cui essi sono fedeli alleati a nel contempo sostanzialmente ne condividono gli ideali religiosi (wahabiti).
Come si vede, l’intreccio delle situazioni sul terreno e quello dell’appoggio esterno sono tali da non permettere né la vittoria né la scnfitta di ciascuna fazione: e ogni fazione tiene più a rinforzarsi che a una chimerica vittoria.
Si vede, più che due schieramenti contrapposti, una guerra di tutti contro tutti. Si deve pur tener presente che gli scontri a carattere etnico religioso non hanno in genere una soluzione, né vinti né vincitori, perché si tratta di gruppi che mantengono la loro identità da secoli e quindi resistono fino allo sterminio e alla pulizia etnica.