Vedere una donna legata ad una catena e nemmeno troppo lunga non è di certo una cosa normale come del resto non lo fu per il medico che lavorava in Sud America e tra tutte le malvagità e disumanità abituato a vedere ogni giorno, dettate dalla scelta di fare il suo mestiere girando il cosmo, questa fu di certo una delle più grandi. Era una storia molto difficile da raccontare, soprattutto per chi non aveva padronanza della lingua e capire era ancora più difficile; la donna era diventata pazza, aveva perso il senno, forse un segno della psiche che talvolta per volere dimentica, cade nell’oblio perché come in questo caso, il soggetto in questione, la donna in questione, aveva subito violenze e perduto l’intera famiglia da un giorno all’altro, tutto quello che aveva di più caro era statole portato via, dai briganti, dai ribelli. Questa è una storia immaginata ma le invenzioni sono ispirate al reale, alla cruda realtà che oggi prende il nome di femminicidio, violenza rivolta al sesso femminile. La sua famiglia d’origine l’aveva venduta nello scambio di poche bestie ad un uomo che l’avrebbe presa in sposa e resa madre e moglie al più presto ed il tutto contro il suo volere, contro il suo diritto di essere libera e felice; ma prima che tutto questo avesse inizio accadde l’imprevedibile, l’orrore, l’aggressione e la ragazza rimase povera e pazza nel vero senso del termine. Tentò di trovare disperatamente un motivo per il suo avverso destino, una spiegazione che le desse ragione di credere che la sua famiglia sarebbe tornata al più presto a riprenderla ma fu solo un’illusione, solo un pensiero che mai si realizzò e la donna divenne schiava di quelle catene, consumate le stesse e consumata lei medesima dalla polvere, sporca, priva di igiene e pulizia da chissà quanto tempo. Quante storie di questo tipo, simili a questo tema mi sono passate dinnanzi in questi anni passati in strutture che accolgono rifugiati e rifugiate, famiglie profughe che raccontano le loro memorie prima di affrontare l’audizione per la Commissione territoriale, nella speranza di un presente più equilibrato. Donne vittime, donne diventate simbolo con le loro scarpette rosse, macchiate dal loro stesso sangue, sangue di violenze, sangue di cuore e disperazione, sangue che rievoca vittime in silenzio. Anche questo fu purtroppo ciò che il medico vide nel Sud America tra le tante ed inconsuete cose che non era mai stato abituato a vedere ed assistere nel suo territorio natio, sangue, imbarazzo, privazione di purezza e libertà, vite spezzate al limite, donne schiave private della naturalezza della vita. Tutto ciò ieri come oggi, le scarpette rosse, esistono ancora.
