Grandi e scroscianti applausi per “Dal tuo al mio” di Giovanni Verga, atto unico adattato da Nino Bellia e Alessandro Napoli, alla Sala Futura – Teatro Stabile dì Catania, in scena dal 19 al 29 maggio c.a.

Il barone Raimondo Navarra non sa riscattare dai debiti la sua zolfara, ha due figlie Nina e Lisa che devono essere maritate e intanto cresce il malcontento tra i dipendenti che minacciano una rivolta per i mancati pagamenti. La vicenda è ambientata nel 1893, al tempo dei Fasci Siciliani, in un momento in cui gli oppressi prendono coscienza di sé.
Ma anche in casa Navarra c’è guerra: la vecchia nobiltà terriera è in lotta con i nuovi affaristi rappresentati dai generi. Il denaro però è uguale per tutti e ogni odio o malanimo cessa di fronte alla possibilità di aumentare il proprio capitale. E tutto tornerà poi come prima.

“Dal mio al Tuo”, atto unico sapientemente ed attentamente diretto da Elio Gimbo, si rifà alla leggendaria gran soiree del 9 luglio 1920 al Teatro Valle, quando questo testo venne proposto per gli ottant’anni del Verga con la regia di Nino Martoglio. Questa mise en scène si ispira alla relazione maestro – allievo, Martoglio e Verga.
Con l’affascinante ed originale apporto scenico di attori di legno attori di carne, con grande affiatamento scenico, regalano al numeroso pubblico della Sala Futura di Catania, emozioni e commozione.
Tra passato e presente, le vicende si intersecano: la guerra tra i Navarra e Rametta diventa la nostra preoccupante realtà, la guerra scatenata dal leader russo ai danni dell’Ucraina. Importante e di grande forza, una spada che squarcia le coscienze, è il messaggio che lo spettacolo regala come una preziosità da conservare gelosamente nello scrigno del cuore: in guerra non vince nessuno, perde l’umanità intera.
Bravissimi e con grande affiatamento scenico tutti gli “attori di carne: la saggia Graziana Lo Brutto (Nina Navarra), l’istintiva Loredana Marino (Lisa Navarra), l’elegante Savi Manna (Martoglio) e nel ruolo del malandrino e sfruttatore Rametta, ed il sempre adeguato ed istrionico Plinio Milazzo (zolfataro e marito di Lisa).


Gli attori di legno, la cui voce è data da eccelsi attori di carne, sono rappresentati dai pupi siciliani, patrimonio dell’umanità Unesco dal 2008. Straordinaria maestria scenica infiamma di entusiasmo ogni anima presente: si muovono con grande padronanza mossi dai manianti, Alessandro Napoli (anche preparatissimo autore di sconfinata esperienza), Dario Napoli, Marco Napoli e Giacomo Anastasi; mentre, le loro voci sono le voci di smisurata bravura dei parraturi, Agnese Torrisi, Davide Napoli e il sempre eccelso Fiorenzo Napoli.
La loro bravura è disarmante: vari timbri vocali escono con grande disinvoltura e senza mai confusione, dubbio e tentennamento, dalle loro bocche per distinguere un pupo dall’altro, per donare loro personalità, identità e credibilità.
Vederli tutti in proscenio alla fine dello spettacolo per accogliere i meritatissimi applausi, è un’emozione immensa.


Peppininu do furtinu, il pupo catanese per eccellenza, divertente, dal temperamento sanguigno “marca liottru”, dalla spiccata intelligenza creativa e lungimirante, fa da assistente al regista arrivando a suggerirgli un finale alternativo alla vicenda.
Di grande suggestione emotiva la scena della battaglia tra i rivoltosi e gli agenti dell’ordine: sottolineata dal tamburo di Fiorenzo Napoli, in un crescendo di colpi dati con veemenza e colpi ricevuti con altrettanta veemenza, ogni lottatore cade nello stesso momento vinto dai colpi del nemico. Si forma un tappeto umano che ci sgomenta inducendoci ad una riflessione amara e profonda: la guerra è una sconfitta per tutti, è la sconfitta dell’umanità intera.
Uno spettacolo arguto che, nelle prime scene non si presenta di facile comprensione soprattutto per chi non conosce lo scritto di Verga ma che, via via, snocciola la storia semplificandola e arricchendola di preziosi insegnamenti di vita.
Le bellissime ed appropriate scene ed i costumi sono di Bernardo Perrone, le luci di Gaetano La Mela, l’audio di Luigi Leone, aiuto regia di Simone Raimondo, foto di scena di Antonio Parrinello. Produzione Teatro Stabile di Catania in collaborazione con Fabbricateatro.
“La durezza di questi tempi non ci deve far perdere la tenerezza dei nostri cuori.”
CHE GUEVARA