Fin dai tempi antichi, cibo ed eros, sono stati designati come connubio perfetto in una fusione di sensi capaci insieme di destare il più soffocato dei desideri sessuali. Quale migliore contesto, quello siciliano, per raccontare attraverso i piaceri della tavola, i profumi di una cucina mediterranea in un accostamento che evoca e ci stimola inevitabilmente al piacere e al goliardico sogno.
Così, l’adattamento teatrale del romanzo di Giuseppina Torregrossa, ” L’ assaggiatrice” (Rubbettino Editore, 2007), viene portato in scena dal regista Nicola Alberto Orofino al Teatro del Canovaccio di Catania nelle date 16,17 e 18 dicembre.
Con Egle Doria.
Produzione Associazione culturale Madè.
Anciluzza , attende trepidante il giorno delle nozze con il suo amato Gaetano che un bel dì la abbandonerà improvvisamente senza lasciare traccia .Da moglie, consolidata casalinga e madre con due picciridde a carico, restando rilegata al paese di Tumunia, si riscoprirà donna e imprenditrice commerciante. Apre una bottega di prodotti tipici, mentre adibisce il retro del negozio a putia dove cucina senza risparmio di forze incocciando la semola, impastando cassatelle di ricotta, preparando zuppe di pesce, assaporando bottarga, friggendo melanzane per la caponata. Tra una pietanza e l’ altra e i profumi della sua terra, accoglie i clienti sfamandoli e fa della sua passione per il cibo, un espediente di gratificazione personale scoprendo via via un gradevole ed appagante universo fatto di corpo e amorosi sensi.
In uno spazio quasi del tutto vuoto, in una scena essenziale e semplice e in un gioco di luci e penombra a richiamare per lo più il trascorrere del tempo, delle stagioni e delle situazioni con accostamento di brani editi degli anni 80, si pone al centro del palco un piedistallo decorato a girasoli , grappoli di aglio e peperoncino, pale di fico d India, erbette aromatiche, quale simbolo di abbondanza dei prodotti tipici della nostra amata Sicilia e, idealmente, di una finestra o balconcino da cui affacciarsi per raccontare con entusiasmo e passione una storia, la propria, ai passanti del posto, il pubblico. A tratti, abbattendo la quarta parete, la protagonista parla rivolgendosi alla platea quasi a cercare consensi, un lascia passare in una società che penalizza le donne, rivendicandone la figura femminile in cerca di indipendenza e in una cultura siciliana troppo radicata nella santimonia, un tabù da cui liberarsi al di là della condizione sociale e oltre ogni pregiudizio. Tutto ciò in un avvicendarsi di voci registrate fuori campo profonde ed intense nell’ intendimento che dialogano con Anciluzza: ora il commissario che con voce suadente indaga sulla scomparsa del marito e che viene accolto in casa dalla stessa per un caffè in un gioco di seduzione che non porterà a nulla in una manifesta voglia di rivalsa da parte della protagonista nel sentirsi donna oltre che madre, ora la sorella che la incoraggia ad aprire un negozio , ora la maternale zia che le parla della sua esperienza matrimoniale fustigata da un marito ossessionato dalla gelosia, altre interazioni a seguire. Sono le voci di Roberta Amato, Alessandra Barbagallo, Grazia Cassetti, Lica Fiorino, Lucia Portale, Alice Sgroi e Francesca Vitale che restituiscono il carattere dei vari personaggi del romanzo. Il ritmo di tutta la rappresentazione è lento e sinuoso nei gesti ma non nella miscellanea dinamica della parola e ciò permette di percepire la sensualità che ne deriva per contrasto: dall’ accarezzarsi spesso i capelli e il petto o dallo sbottonarsi la camicetta colorata di umori in un gioco vedo non vedo in contrapposizione ad un quasi scioglilingua senza pausa: interminabili liste di ingredienti che richiamano l’attenzione per la loro sonorità, parole grasse e magre, e per la loro ripetizione in diversi momenti, quasi un rituale d’amore più che un banale ricettario. Spettacolo equilibrato e leggero vista la complessa tematica sull’ accoppiata cibo-eros e sull’ amplesso che sembra volersi porre come obiettivo di soddisfazione generale . Affrontati con intelligenza, ricercatezza e ricchezza di vocaboli, sensibilità e garbo come nel libro di Giuseppina Torregrossa e ribaditi nella piece anche se lasciati a minori approfondimenti, non per questo, senza rendere giustizia al libro suscitando altrettante reazioni di ilarità in certi passaggi e in altri, un senso di richiamo alla bellezza , alla fugacia della vita, alla scoperta e riscoperta dei sapori e, attraverso questi, un significato di noi stessi nel gusto del vivere, con quel pizzico di ironia che ci aiuti ad affrontare impedimenti, metaforicamente legati in parte alla rappresentazione a leggio che non consente particolari manovre interpretative, imprevisti o ancora e semplicemente malumori di vita quotidiana. Una sottile e deliziosa tavoletta di cioccolato da avere in dispensa, tra le mani e, come fa l’attrice in scena, una Egle Doria versatile e qui ironica e appassionata, da spezzare all’occorrenza, per sorridere di buon umore, appagati e pronti a voltare, di un prontuario sociale, definitivamente e liberamente pagina.