Diciassette personaggi in scena, un numero che porta davvero bene, grande ritmo e divertimento. Tre atti e due cambi di scena per una commedia famosissima nel panorama teatrale siciliano scritta da Luigi Capuana, “U paraninfu” e ciò una sorta di agente matrimoniale degli inizi del novecento che porta il nome di Pasquale Minnedda. L’intendo è di far sposare le due, non bellissime ma ricchissime, sorelle Matamè con il professore Barresi ed il tenente Rossi. Equivoci ed ironia piccante ma appropriata colorano la commedia per tutta la sua rappresentazione.
La regia è affidata ad un sempre meticoloso e competente Armando Sciuto, forte della sua appropriata esperienza che si avvale dell’assistenza di Lucia Debora Chiaia. Le scene sono di Emanuela Nicotra, i costumi della sartoria Beneventano, trucco di Sara Lattuga, la sarta è Giovanna Platania, fonica Mariaelena Trovato, organizzazione di sala Alessio Drago e Ciccio Ranno. Una citazione particolare la riserviamo ad una direzione artistica convincente e dal clima amichevole grazie al lavoro paziente di Tino Pasqualino.
La storia parla di un uomo, Pasquale Minnedda, interpretato dall’attore Turi Killer in modo esilarante, appropriato nonostante l’attore fosse “piegato” da un generale stato influenzale. L’intento dell’uomo è quello di far sposare le due, non belle ma ricche e generose, sorelle Matamè, divenendo per lui una sorta di fissazione: “su m’arrinesci ca m’arrinesci…” è la sua frase – tormentone (per i non siculi: se mi riesce che mi riesce…). L’uscita sul palcoscenico di Rica Matamè, la bravissima Lucia Debora Chiaia, e di Vennira Matamè, l’attrice poliedrica Anna Impegnoso, è sempre sottolineata ed evidenziata da una musica di accompagnamento che instrada il pubblico ad attenzionare i due personaggi.
I futuri sposi designati sono: il tenente Rossi dalla parlata di misti di dialetti settentrionali, interpretato dal giovane Simone Pappalardo ed il saggio professore Barresi, uomo siracusa dalla lunga militanza al nord, interpretato, a nostro parere, dall’unica nota positivamente stonata, e per cultura, e per tenuta del personaggio fino alla fine, rappresentata dall’attore Antonio Sturiale.
Menzioniamo gli altri personaggi ed interpreti che si susseguono ordinatamente e sempre ben coordinati, sul palcoscenico: Don Angilu Vaiana (Gaetano Di Benedetto), Alessi (Michele Torrisi), Calenna (Giovanni Ruggieri), Cutugno (saro Marzullo), Renna (Pippo Mirabella), Trinnachi (Giuseppe Filetti), Ninu (Nanni Battista), Cuncittina (Rosaria Laporta), Ntonia (Luana Piazza), Carmenia (Rita Biondi), Donna Tina (Agata Spampinato).
Abbiamo trovato esagerata la trasformazione finale delle due sorelle Matamè. Il distacco tra il “prima” e il “dopo” la cura ci è sembrato quasi un miracolo divino. Nonostante una persona desideri cambiare in positivo il proprio aspetto fisico per essere più appetibile agli occhi dell’altro sesso, è impossibile passare così repentinamente dall’altra parte della barricata.
Sarebbe bastato un vestito più “sobrio” ed un trucco più raffinato per far sembrare le Matamè due donne piacenti e non due “Rossella O’Hara” del film “Via col vento”.
Un teatro gremito per un grande successo di pubblico ed anche di critica.
E’ sempre un piacere parlare di teatro, di teatro fatto bene come in questo caso purché l’attore rimanga “vero” e con la giusta ipocrisia che accomuna tutti i comuni mortali, sia sul palcoscenico della vita, sia su quello di una sala teatrale.
Auspichiamo che ciò non rimanga solo una mera illusione.
Alla prossima.