“Che fine ha fatto Baby Jane?” – la folle minaccia dei ricordi e la fobia dell’oblio
al Teatro del Canovaccio di Catania dal 9 all’11 giugno c.a.
Un silenzio quasi “spettrale”, brividi che scendono lungo la schiena. Colpi di scena in crescendo, pathos, commozione, sensazioni.
Una calderone di emozioni coglie un pubblico attentissimo al Teatro del Canovaccio di Catania durante tutto lo spettacolo. “Che fine ha fatto Baby Jane?”, dramma prodotto dalla “Compagnia del Matto”, adattamento di MirKo Sassoli con la regia dell’attento e meticoloso Sebastiano Mancuso e gli adeguati costumi di Laura Guidotto. Le suggestive fotografie di scena sono di Maria Regina Betti, disegno e luci di Elvio Amaniera.
Tratto dall’omonimo romanzo di Henry Farrel dal quale fu tratto un thriller psicologico nel 1962, diretto da Robert Aldrich con Bette Davis e Joan Crawford, rispettivamente nei ruoli delle due sorelle, Baby Jane Hudson e Blanche Hudson, lo spettacolo ad alta “intensità emotiva” rappresentato al Canovaccio firma una svolta innovativa coraggiosa, sigilla una sfida vinta contro chi dice che il pubblico non è abituato ed avvezzo ad assistere a rappresentazioni “nuove” ed “innovative”.
Lo spettacolo inizia con un “concertato” esaltato magistralmente dalla calda ed emozionante voce di Antonella Scornavacca, una scena “claustrofobica”, come lo stesso Sebastiano Mancuso definisce nelle sue note di regia, una ragnatela tessuta dove vengono attirati ed imprigionati minacciosi ricordi e realtà, momenti di follia maniacale ed arcane persecuzioni mentali. Un’atmosfera quasi rarefatta dove le percezioni visive ed olfattive si raddoppiano: pare quasi di sentire quel caratteristico, soffocante puzzo di chiuso e di povere che penetra in profondità in ogni narice.
L’attrice Rita Seminara a causa di un malore durante la prova generale, ha dovuto rinunciare ad interpretare il ruolo della governante Edna ed è stata egregiamente sostituita dall’attrice Antonella Scornavacca la quale, definita folle da tutti ha accettato con grande professionalità e sentimento, questa inaspettata sfida. “Affrontare una sostituzione il giorno prima del debutto”, dichiara Antonella Scornavacca, “non è affatto semplice ma fare teatro è anche questo. Fare teatro significa amare, combattere, essere leoni, essere aquile. Ringrazio il regista ed i colleghi per la fiducia. E’ per loro che ho accettato senza riserve perché lo spettacolo deve continuare, così come la vita”.
continuare, così come la vita”.
L’attrice Antonella Scornavacca in scena è una governante garbata, elegante, decisa. Seriamente preoccupata per l’incolumità di Blanche Hudson rimasta, a causa di un incidente stradale, su una sedia a rotelle e continuamente minacciata dalla follia persecutoria e schizofrenica della sorella Baby Jane. Quest’ultima le usa violenza fisica e psicologica (più volte la scaraventa al pavimento dalla sedia a rotelle) ed entrambe sembrano risucchiate da quel vortice di follia che le manipola come dei burattini appesi a dei fili invisibili.
Veste i panni di Blanche Hudson la giovanissima, brava attrice Loriana Rosto. Avvincente, credibile, intensissima e vera, la sua interpretazione è una “spada affilatissima” che attraversa ogni coscienza. Da evidenziare il suo approccio con la “terrificante” scena del topo a lei servito per pranzo dalla sorella. Il grido di Loriana Rosto, in quella circostanza, fa tremare l’intero teatro. Una giovane attrice che riesce a tirare la propria anima e la regala a chi ha il piacere immenso di assistere ad una sua performance teatrale.
Baby Jane Hudson reca voce, corpo e cuore del bravissimo attore Elmo Ler. Istrionico, sferzante, deciso, Elmo riesce a passare con naturalezza e professionalità da uno stato d’animo all’altro, dalla raccapricciante pazzia persecutoria, allo sfrazzo effimero di esili realtà, esaltando con grande maestria il suo difficile personaggio.
Baby Jane, minacciata dai suoi ricordi, tormentata dalla gelosia per il successo artistico della sorella Blanche, vive nel suo mondo di pazzia come in una gabbia fatta di lustrini, rossetti e vecchi brani musicali che spesso si sforza per ricordarne le parole.
Quelle stesse parole che mancano al pubblico per definire, a fine spettacolo, le diverse e fortissime sensazioni provate durante l’intera rappresentazione dello stesso. Uno spettacolo che merita un futuro anche in altri palcoscenici nazionali.
“Siamo costretti, per rendere la realtà sopportabile, a coltivare in noi qualche piccola follia”, scrisse un giorno Marcel Proust.
La stessa follia con la quale affrontano la vita le anime più sensibili quando i ricordi fanno molto, molto male.
Fotografie di Maria Regina Betti.