“Il Sogno di Frida” della compagnia Cattivi Maestri di Savona, è il titolo della messa in scena svoltasi il 9 luglio c.a. all’interno della programmazione del Festival Mediterraneo SUDdiVisioni per nuove generazioni ancora in corso che ha avuto inizio il 23 giugno presso il Centro Viagrande Studios in Viagrande (Catania) e che ha accolto laboratori e spettacoli per adulti e piccini di diverse compagnie rappresentanti il teatro del Sud Italia come La Casa di Creta Teatro Argentum Potabile per la Sicilia, TeatroP per la Calabria e Molino D’Arte per la Puglia.
Promotori dell’iniziativa per una kermesse contemporanea, Antonella Cardarella e Steve Cable, attori, registi e drammaturghi, impegnati da diversi anni in iniziative come queste vantando collaborazioni con altrettanti Enti professionistici dell’arte e dello spettacolo e nella profusione di disparate attività didattiche presso il centro multidisciplinare Viagrande Studios di Via Francesco Baracca di Viagrande.
Nell’accogliente anfiteatro adiacente la struttura del Centro, circondati dal verde e con una vista panoramica sul promontorio etneo, immersi in un clima serale finalmente refrigerante, è stato rappresentato “Il Sogno di Frida” de i Cattivi Maestri per il testo e regia di Annapaola Bardeloni, musiche di Stefan Gandolfo, costumi di Francesca Bombace, con Francesca Giacardi e Maria Teresa Giachetta.
Frida (Kahlo) è una tra le icone controverse e complesse più rappresentate nel panorama cinematografico e teatrale degli ultimi tempi.
In questo lavoro viene proposto una Frida fanciulla e sognatrice che esprime e parla al pubblico servendosi di un alter ego, una bambola di pezza, sua fedele amica e compagna di viaggio che vive e drammatizza per lei, le sue più intime emozioni e i suoi più nostalgici desideri.
Parla, si muove e balla in una scena essenziale e minimalista dai colori accesi contrastati da un gioco di ombre e pacatezza per lo più statici, come statica vuole essere la presentazione del personaggio di Frida, un fermo immagine atto a ricordarne la sua peculiarità svelando il segreto attorno cui ruota tutta la mise: che importa avere gambe se si hanno ali per volare?

La narrazione musicata delinea fin da subito il carattere brioso e leggero che si vuole conferire al contesto in cui fabula e intreccio coincidono già dalle prime battute; un medias res di corteggiamento al pubblico in un richiamo pittoresco e minuzioso ai paesaggi vulcanici, ai profumi e ai colori della natura nonché ai costumi e ai suoni tradizionali tipici del Messico in un accostamento più che mai empatico al Mediterraneo che ci trascina tutti dentro la storia smorzando quella tristezza latente di compatimento.
Nel ripercorrere la tragica e sofferente condizione di questa grande artista che è Frida Kahlo, seppur in un concentrato di nozioni, si pone, piutosto, l’accento sul tema della disabilità quasi a sottolineare in maniera costante ma non per questo deleterio e demotivante, de l’impedimento e de l’imprevisto, invece che de l’ incapacità fisica e/o psichica in senso di atto estremo discriminabile o denunciabile nella politica di un Novecento, lontano ormai anni luce, in cui visse la pittrice, la quale non vedrà mai debuttare, pur anche per l’opportunità di farlo proprio, il concetto di empowerment nato subito dopo la sua dipartita, nel 1954, a soli quarantasette anni.
A questo sopperisce in parte questo lavoro teatrale, scarno di cenni storici al personaggio e ai fatti. Non una crono storia, dunque, ma un messaggio denso di significato sociale, morale ed evolutivo in un monito all’individuo che compie l’errore di considerare non prima la persona e poi il suo deficit, che si ferma all’apparenza e alla foma, la condizione dell’essere che da oggetto diventa protagonista di tutta la rappresentazione.
L’informazione che ne deriva, oltre che l’incentivo al superamento delle barriere culturali, è di provare ad intercettare una opportunità di vita e di riscatto: quale esempio migliore quello di una donna, che pur volgendo lo sguardo al passato intriso di dolore attraverso il riflesso di uno specchio in frantumi, dona cotanta luce e bellezza all’umanità: una trasposizione simbolica e temporale che invita a riflettere su chi siamo e possiamo essere; la scelta di vivere o lasciarsi morire, l’adattamento, e ancora la vera capacità di lottare contro se stessi e l’indifferenza o le attenzioni di parte e dettate dal pathos. Ecco, allora, come si diventa “grandi” , adulti, maturi e appassionati di questa vita, che da e toglie e, nonostante tutto, ci offre delle possibilità decisionali e alternative di rivalsa in un crogiolo di avversità che toccano l’animo, stanco delle crudeltà, quelle a cui non si è mai preparati e che si deve imparare a gestire, fronteggiare o eludere, se il caso, per il bene nostro e della collettività.